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Analisi

Silenzi e banalità: al Milan serve il vero Ibrahimovic

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Zlatan Ibrahimovic e il Milan: una storia fatta di amore, fiducia, riconoscenza, rinascite e vittorie. Nell’estate del 2010 sbarca a Milano da Barcellona, triste ed arrabbiato, diventa il leader della squadra di Allegri con cui vince subito lo scudetto. Nell’inverno del 2020, coi rossoneri in crisi di identità, torna a Milanello a quasi quarant’anni e fra lo scetticismo di chi non lo conosceva bene e in meno di due anni riporta la formazione milanista al titolo, poi smette e diventa dirigente del club fra il giubilo del popolo del Diavolo, sicuro che con lo svedese il Milan sarebbe stato in ottime mani.

Mancanze

E invece, almeno per ora, l’apporto di Ibrahimovic è quantomeno deficitario. Il Milan versa in condizioni pessime con l’Inter che gli festeggia lo scudetto davanti ed un progetto tecnico che non si capisce dove abbia il capo e dove la coda. L’ex fuoriclasse scandinavo, al di là di qualche rassicurazione gettata con un sorriso qualche mese fa a margine di un gran premio di Formula 1 che era andato a vedere dal vivo in Asia, e al di là di una laconica intervista in cui ha affermato che la vita da dirigente procede bene e che l’occasione che gli ha concesso Cardinale era irrinunciabile, ha detto e fatto poco.

Esperienza

Ibrahimovic è quasi sempre allo stadio, sbuffa, impreca, esulta, esattamente come faceva quando era in panchina, ma i tifosi oggi si aspettano altro da lui. Lo svedese è l’unico della dirigenza ad avere carisma e credibilità, se chiama al telefono un allenatore o un calciatore quello scatta sull’attenti, se la stessa telefonata la fanno Furlani o Moncada, la risposta sarà cordiale e poco più. Al Milan serve la personalità di Ibrahimovic, lo sguardo sicuro e un po’ arrogante, magari l’invito al nuovo allenatore come in quel Milan-Lecce di quasi 15 anni fa: “Vinciamo tutto quest’anno“. L’ambiente rossonero è spaesato, ha bisogno di una guida, di un bastone a cui aggrapparsi. Ibra, se ci sei batti un colpo.

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