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Analisi

Il Milan non ci è cascato: il calcio non è dei giovani, ma dei forti

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MILANO – Il Milan ha viaggiato a ritmo scudetto dalla ripartenza post Covid, il suo campionato è stato elettrizzante, ha portato 9 vittorie e 3 pareggi nelle 12 partite finali del torneo, oltre al titolo di miglior attacco d’Europa dalla ripresa delle leghe continentali dopo lo stop forzato. Numeri incoraggianti in vista del futuro, ma che, tuttavia, non sono stati sufficienti ad agguantare il quinto posto in classifica che avrebbe evitato ai rossoneri la disputa dei preliminari Uefa che costringeranno Pioli ad accorciare ulteriormente le vacanze della truppa milanista e preparare in fretta la nuova stagione.

Volontà

Il tecnico emiliano ha però vinto su tutta la linea, obbligando coi risultati e con un plebiscito formato da squadra, dirigenza e tifosi, la proprietà a confermarlo in panchina nonostante fosse ormai tutto apparecchiato per l’arrivo di Ralf Rangnick, già designato come uomo a cui affidare l’ennesimo rischioso progetto di rilancio del Milan, ripartendo da zero un’altra volta. E così ha vinto la continuità, la meritocrazia, il lavoro di Pioli che nella strana estate del calcio italiano ha stravolto la compagine milanista girando nella seconda parte di stagione a quota 41 punti, meglio della Juventus e della strabiliante Atalanta.

Equilibrio

Ma c’è di più: oltre a Pioli, il Milan confermerà anche Paolo Maldini e Zlatan Ibrahimovic, tornando clamorosamente sui suoi passi, rivedendo e modellando quel progetto giovani che appariva estremo, poco ponderato e con altissime probabilità di non riuscire. Perché sfasciare un giocattolo che non ha dato segni di cedimento neanche nei momenti più duri? Perché chiudere questo capitolo sul più bello e ricominciare ancora tutto daccapo, proprio ora che il Milan appariva pronto a riprendersi quel ruolo da protagonista che ha sempre avuto nel calcio italiano e che negli ultimi 8 anni si è offuscato?

Pericolo

L’ha scampata bella il Milan: fosse arrivato Rangnick (peraltro dimessosi dalla Red Bull ed ora disoccupato, nonostante la sua genialità), i rossoneri avrebbero salutato Zlatan Ibrahimovic, perso il suo faro in mezzo al campo e nello spogliatoio; il tedesco avrebbe preso le redini della squadra, dividendosi fra panchina e scrivania di direttore tecnico, sposando in toto il progetto di ripartire da elementi giovani, senza esperienza e senza guide. Ci sarebbe voluto tempo per amalgamare quel gruppo incerto, forse la squadra si sarebbe ritrovata a Natale a distanze abissali dai primi quattro posti della classifica, come con Giampaolo, come col primo Pioli.

Usato sicuro

Il rischio dell’ennesima stagione di transizione è stato evidentemente calcolato come troppo alto, persino Gazidis e la famiglia Singer hanno capito che fosse meglio toccare il meno possibile in una squadra che ha messo in riga mezza serie A grazie al lavoro di Pioli e all’apporto di uno come Ibrahimovic che con un semplice sguardo è in grado di riportare all’ordine i compagni più giovani. E’ il Milan della normalità, di un gioco anche bello da vedere senza estremismi, fatto di operai e non di professori, come il Milan che verrà, costruito con più oculatezza, ascoltando i consigli dell’allenatore, mischiando giovani promettenti a calciatori più esperti che sappiano indicare la via. Perché, non ce ne voglia l’amico Rangnick, il calcio non è dei giovani, il calcio è di quelli bravi.

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