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Milan: ecco perchè Ibrahimovic non sarà come gli altri ritorni

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L’ambiente milanista è eccitato ed elettrizzato per il ritorno in rossonero di Zlatan Ibrahimovic, pronto a indossare di nuovo la maglia del Milan quasi 8 anni dopo l’ultima volta. Dallo svedese ci si aspetta quella scossa che a Milanello manca da tanto, troppo tempo e che soprattutto quest’anno sta latitando in un organico estremamente giovane, senza esperienza e senza una guida carismatica che conduca il gruppo nei momenti complicati che in questi primi 6 mesi sono stati così tanti da perderne quasi il conto. Ibrahimovic ha carattere e mentalità vincente da vendere per istruire ed accompagnare una squadra timorosa ed impacciata, lontana anni luce dalla macchina guerra ammirata nei decenni passati.

Paure

Eppure sul fuoriclasse svedese permangono alcune perplessità: le prime sono di natura fisica, in quanto il centravanti scandinavo non gioca da fine ottobre, ha perso il ritmo partita ed ha pur sempre 38 anni, gli ultimi due dei quali passati in un campionato poco competitivo come quello americano e dopo aver fatto i conti con il grave infortunio occorsogli nella primavera del 2017. E poi qualche tifoso milanista si chiede: e se il ritorno di Ibrahimovic fosse come gli altri che si sono negativamente succeduti negli anni scorsi, illudendo e poi deludendo il popolo rossonero? Un pericolo che mina le certezze di chi accoglie con entusiasmo l’Ibra bis al Milan.

Minestre riscaldate

Ma il ritorno di Ibrahimovic sembra effettivamente tutt’altra cosa rispetto agli altri, e vediamo perchè. Tralasciando Arrigo Sacchi e Fabio Capello, tornati a Milano nella loro secondo avventura da allenatori ed incappati in due annate balorde, il primo per mancanza di serenità in panchina e il secondo perchè aveva 3/4 di spogliatoio contro, in tanti sono stati i rimpatri sulla via di Milanello nel corso degli anni e quasi tutti si sono rivelati infruttuosi e deludenti, tanto dal far affiorare più nostalgia e malinconia che a risultare effettivamente efficaci.

Delusioni

In principio fu Ruud Gullit che lasciò il Milan nell’estate del 1993 per approdare alla Sampdoria a causa di dissidi con Fabio Capello che lo riaccolse un anno dopo, salvo poi capire che le divergenze con l’olandese non si potevano appianare e rispedendolo a Genova in cambio di Alessandro Melli. Nel 2008 tocca ad Andrij Shevchenko rientrare a Milano in prestito dopo due anni bui al Chelsea: risultato, 2 gol (uno in Coppa Uefa e uno in Coppa Italia, zero in campionato) e prestito non rinnovato a fine anno. Ma l’ucraino era ormai in fase calante della sua carriera, dal punto di vista fisico e mentale era pressoché lontano dal calcio e con le motivazioni sotto le scarpe. Un po’ come accaduto a Ricardo Kakà, tornato al Milan nell’estate del 2013 dopo i tormenti di Madrid.

Differenze

Il brasiliano aveva perso brillantezza, ritrovandosi per di più in una squadra più povera di quella lasciata 4 anni prima; quel Milan necessitava di carisma e leadership, caratteristiche che Kakà non aveva. Proprio in questo alberga la grande diversità fra i loro ritorni e quello di Zlatan Ibrahimovic: Shevchenko e Kakà erano straordinari fuoriclasse, ma si esprimevano al massimo in contesti che giravano già alla grande, mentre lo svedese possiede un temperamento fuori dal comune, ama le sfide e la competizione, adora essere il salvatore ed il protagonista in quadri ambientali anche non di primissimo livello, in modo da ingrossare ancor di più il già suo enorme ego. Elementi che, nonostante i suoi 38 anni, lasciano pensare come questo ritorno non sia semplicemente tenero e romantico ma anche tremendamente utile.

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