Analisi
Ibrahimovic come Maldini: sì al Milan ma ad una condizione
Zlatan Ibrahimovic atto III. Il Milan si prepara ad accogliere per la terza volta lo svedese, anche se sotto vesti diverse rispetto al passato, perché se nell’agosto del 2010 e nel gennaio del 2020 Ibra era sbarcato a Milanello come calciatore risultando poi decisivo per gli scudetti del 2011 e del 2022, stavolta che l’ex calciatore ha appeso gli scarpini al chiodo, il ruolo per lui dovrà essere tagliato su misura come un vestito sartoriale. Al momento, Ibrahimovic non ha patentini o master specifici, ma ha due enormi qualità: carisma e perfetta conoscenza di ambiente e spogliatoio.
Compiti
Non è certo la scoperta dell’acqua calda il fitto dialogo fra lo svedese e la proprietà milanista, segnale evidente che l’intento di riabbracciarsi dopo l’addio di giugno 2023 c’è. Il punto è: cosa si mette a fare Ibrahimovic nel Milan? Il ruolo non è definito, tutt’altro, e non è così semplice parlare di tutor o di mental coach, perché sembrerebbe mettere in disparte l’autorità di Pioli e della dirigenza. Ibrahimovic, insomma, non può certo rientrare a Milanello entrando negli spogliatoi e dicendo “si fa così, non si fa così“, perché un conto è essere il leader del gruppo da calciatore, un altro da collaboratore.
Condizioni
E poi c’è anche altro, perché l’ex fuoriclasse scandinavo non vuole essere l’asta della banderuola milanista che viene agitata quando accade qualcosa di eclatante, bensì chiede (al Milan e a sé stesso) un ruolo ad hoc, non invadente ma incisivo, riconoscibile a tutti, esattamente ciò che chiedeva Paolo Maldini prima di essere ingaggiato come direttore dell’area tecnica. Fin quando la competenza non sarà trovata ed analizzata, Ibrahimovic non tornerà e non certo perché non ne abbia voglia, ma perché un grande attore non accetterà mai un ruolo da comparsa nel teatro più bello dove si sia esibito.
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