Analisi
La scalata di Pioli: lo voleva il Brescia, è diventato campione d’Italia
Pioli è un altro uomo e un altro allenatore se paragonato a quello chiamato in fretta e furia da Maldini nell’ottobre del 2019
“Pioli is on fire“. Altro che tormentone estivo, questo è un ritornello che accompagnerà i tifosi del Milan ancora a lungo, perché è il simbolo e l’emblema del ritorno alla vittoria dei rossoneri dopo 11 anni di attesa e di sofferenze. E l’artefice principale è sicuramente l’allenatore emiliano che è stato capace di costruire un gruppo solido, affiatato, unico in Italia, in barba alla giovane età media dei calciatori e ad una fiducia che in pochi riponevano sul Milan, considerato una buona outsider ma con Inter, Juventus e Napoli nettamente favorite rispetto ai neo campioni d’Italia.
Inizi
Pioli è un altro uomo e un altro allenatore se paragonato a quello chiamato in fretta e furia da Maldini nell’ottobre del 2019 dopo il prevedibile fallimento dell’esperimento tentato con Giampaolo. A Milanello doveva arrivare Spalletti che però l’Inter non ha liberato e allora sotto con Pioli, nome a sorpresa che non accese la fantasia di nessuno. Considerato un buon tecnico e poco più, l’allenatore emiliano non sembrava davvero l’uomo giusto da cui ripartire, un po’ perché non incarnava lo spirito del vincente, un po’ perché le sue esperienze passate con Lazio, Inter e Fiorentina erano state altalenanti.
Crescita
L’avvio fu tutt’altro che semplice col 2-2 casalingo contro il Lecce al debutto, ma soprattutto con l’ormai celebre 0-5 di Bergamo del 23 dicembre 2019. Da allora, il Milan e Pioli hanno messo il turbo: dentro Ibrahimovic, fuori il carattere: anche il tecnico ha beneficiato del ritorno del fuoriclasse svedese, ne ha assorbito il carisma, si è trasformato da uomo buono che dava poca importanza al risultato, a uomo di ghiaccio che arriva a dire: “I miei calciatori sono leoni, dimostriamo fino alla fine di essere i migliori“.
Paralleli
Forse non un predestinato della panchina come Conte o Guardiola, di certo una persona in grado di riconoscere i suoi limiti e migliorarli, come migliorati sono stati tutti i suoi giocatori in questi due anni e mezzo: Calabria, Leao, Tonali, Theo Hernandez (a cui Giampaolo preferiva Ricardo Rodriguez), Bennacer, Kalulu, Krunic, tutta gente che da timida è diventata cattiva, affamata di successi, come del resto accaduto allo stesso Pioli che prima di accettare la chiamata del Milan era ambito dalle genovesi e dal Brescia; dettagli che spiegano la rivoluzione dell’ex uomo normale del calcio.
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