Analisi
Milan: a chi si dà tempo e a chi no
MILANO – Una recente dichiarazione del direttore sportivo dell’Atalanta Giovanni Sartori ha rilanciato una questione che in casa milanista ha tenuto banco per circa un anno e mezzo e che riguarda Mattia Caldara, difensore arrivato a Milanello nell’estate del 2018 nell’operazione che riportò Bonucci alla Juventus e che condusse al Milan, oltre a Caldara, anche Gonzalo Higuain. L’esperienza del difensore in rossonero è stata breve e pressoché inesistente: zero presenze in campionato, una in Coppa Italia ed una in Coppa Uefa, il tutto costellato da infortuni cronici che non hanno permesso a Caldara di scendere in campo per oltre un anno.
Dubbi
Ed ora che l’ex juventino è tornato all’Atalanta, ecco che Sartori davanti ai microfoni non le manda a dire al Milan: “Con Mattia hanno sbagliato, non gli hanno dato tempo“. Già, il tempo. Premesso che il Milan ha aspettato Caldara per quasi due anni (un tempo dunque assai lungo) e che le prestazioni del calciatore anche a Bergamo non hanno per nulla ricordato le belle apparizioni di tre anni fa in maglia nerazzurra, il tempo è proprio uno degli elementi che in casa milanista manca maggiormente, tanto che la domanda nasce spontanea: quanto tempo si può concedere in un club simile e, soprattutto, per chi val la pena farlo?
Strategie
Si è detto lo stesso, ad esempio, di Marco Giampaolo, accolto (dalla società e da qualche tifoso più che ottimista) come maestro di calcio (ma definirlo semplicemente allenatore non sarebbe stato meglio?) e poi cacciato in malo modo ad ottobre dopo 7 giornate di campionato ed una classifica da zona retrocessione. In quel caso si è detto: a Giampaolo andava dato più tempo per costruire la sua squadra e plasmarla col suo gioco. La tesi contraria, però, risponde che, visto il personaggio ed il contesto in cui l’hanno catapultato, dargli ancor più tempo avrebbe forse significato chiudere il girone d’andata con gli stessi punti delle formazioni pericolanti.
Calciatori
Di tempo, poi, il Milan ne chiede per Rafael Leao: sì, è indolente e segna ancora poco, dicono, ma dategli tempo e sboccerà. Idem con patate per Paquetà e stesso discorso anche il gruppo che verrà costruito in vista della stagione 2020-2021 quando Gazidis ha già progettato un organico formato quasi esclusivamente da elementi under 25 con qualche rara eccezione (Romagnoli, Kjaer, Calhanoglu e Kessie) e che fin d’ora si prova maldestramente a proteggere affermando che ci vorrà del tempo per vedere un Milan nuovamente competitivo, senza ovviamente specificare quanto e, soprattutto, cosa si intenda per competitività.
Rischi
In un ambiente come quello milanista, è naturale, tutto si gonfia ed ogni esperimento è rischioso il doppio rispetto ad altre piazze. Il tentativo di scimmiottare l’Atalanta in Italia ed il Lipsia (che ha però dietro il colosso Red Bull, al contrario del Milan) in Europa potrebbe generare un ibrido che farà fallire il progetto di Gazidis e ritardare ancora l’idea di rilancio del club rossonero, perché Milano non è Bergamo e le 7 Coppe dei Campioni in bacheca non valgono esattamente come le promozioni dalla serie B ottenute nella propria storia dai bergamaschi. Ecco perché al Milan di tempo ce n’è poco, perché la piazza chiede vittorie e trofei dopo quasi 10 anni di nulla e non è più disposta ad aspettare, ad accogliere giustificazioni e a sentir parlare di progetti, programmi e verbi coniugati al futuro. E quella parola, tempo, che dalle parti di Milanello sta esasperando gli animi ormai da un decennio.
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